sabato 22 dicembre 2012

Per sempre tuo

di Daniel Glattauer - Feltrinelli

Sono vaccinato; ho letto molto; sono pronto più o meno a tutto. Ma questo libro dell'autore austriaco mi ha trascinato in uno stato d'ansia e di angoscia che poche volte ho dovuto fronteggiare.
Non vedevo l'ora di finirlo. Lo confesso, ho saltato alcune parti per arrivare al sodo, per potermi liberare di queste pagine, per poter chiudere la quarta di copertina, riporlo nella libreria e scordarmelo per sempre.
È una storia di un'ossessione, di una paranoia mascherata da amore verso una donna. È la fotografia letteraria di una psicopatologia umana che ha come scopo solo trascinare altre persone nel proprio inferno.
È il crescendo - forse affascinante per chi apprezza storie del genere - che inquieta.
Un incontro, un casco di banane, una storia d'amore con ottimi presupposti, una follia che cresce in mezzo ai due protagonisti, una schizofrenia torbida che avvolge lei, voci e campanelli nel buio, la pazzia che sembra prendere il sopravvento, il colpo di coda, direi, geniale!, il lieto finale.
Un angoscia continua, una costante scarica adrenalinica al lettore, un senso di abbandono forte.
No, non fanno per me questi libri, soprattutto in questo periodo.
Da voler fuggire, letteralmente, lontani mille miglia.

Regalo di nozze

di Andrea Vitali - Garzanti

Un volo nel tempo con Vitali è un'esperienza sempre affascinante. Anche se il velivolo, in questo caso, è solo una bianca e semplice 600.
Non è tra le più brillanti questa prova dello scrittore del lago, anzi, è uno di quelli meno riusciti, almeno ai  miei occhi.
La storia è un po' stanca, è un continuo feedback, un costante voltarsi al passato, per cercare, come spesso accade, di comprendere il presente.
Un presente che ha al centro un giovane in odore di matrimonio, con una madre vedova in odore di solitudine e una 600 bianca in odore di ritornare al mondo.
E un passato che vede lo zio Pinuccio, gagà d'altri tempi, spiantato e alla continua ricerca di un'avventura, che riemerge tra i flutti lacustri nostrani.
Ma la storia manca di ironia, manca di quel sottile sense of humor, di quella voglia di guardare tutto con un sottile sorriso sulle labbra, anche se sempre con grande rispetto.
La storia inizia, si arrotola, si divide, si sviluppa, ma sembra quasi non finire.
L'ultima pagina si chiude in modo amaro, lasciando un senso di manchevolezza.
Insomma, la produzione di Vitali è intensa, continua, immensa direi.
Non tutte le opere possono essere all'altezza della sua fama.

giovedì 15 novembre 2012

Un'ottima annata

di Peter Mayle - Garzanti

Processo inverso, quello che ho adottato con questo libro: prima il film poi il libro. Ridley Scott è un maestro del 'colore', della luce. Proprio come nel libro.
Le atmosfere che si respirano, le pennellate di rosa dei tramonti provenzani, i colori intensi ma anche tenui dei vigneti e delle rose, sono molto simili a quelle che il maestro del cinema è riuscito a riproporre nel film.
Ma nel libro, oltre a una minore oniricità e alla mancanza di leggerezza, la vicenda 'truffaldina' assume una centralità molto forte, molto presente, che guida molte delle pagine del lavoro letterario.
Un libro molto scarno, molto essenziale, in cui il lettore  - quello che ha bisogno di evadere e di 'fuggire' con la mente - si cala lentamente, con la certezza che tutto andrà bene, che il mondo continuerà a girare nella giusta direzione, e che l'amore, dopotutto!, trionferà.
È una storia divertente, con qualche pretesa moralistica, che schiaccia l'occhio a chi dice basta al suo mondo fatto di stress e appuntamenti, a favore di una lentezza bucolica e di una scoperta delle proprie radici.
Tutto bello, a chi non piace?
Il problema vero è che i guru della fuga, i professionisti del ritorno alle origini, i fautori della fuga e del rifiuto, sono sempre privilegiati che hanno la possibilità di farlo, grazie a tasche piene, eredità sontuose e donne bellissime sempre ai tuoi piedi.
Bello, bellissimo, ma alla fine fa anche un po' incazzare.
E non è bello per un libro...

giovedì 25 ottobre 2012

Il torto del soldato

di Erri De Luca - Feltrinelli

Un ago. Ecco cos'è la scrittura di Erri De Luca in questo racconto lungo. Un ago, di quelli grossi, che servono a cucire tessuti pesanti, spessi, complicati.
Ne 'Il torto del soldato' l'autore entra ed esce dal passato come un ago che si infila per poi riuscire dal tessuto che sta cucendo.
L'incubo delle persecuzioni naziste a spese del popolo ebraico, un'infatuazione infantile di vacanze ormai dimenticate, la traduzione di un testo yiddish in italiano, sguardi continui che si incrociano e che sollevano mille domande, ricordi che si insinuano e che sconvolgono il presente di fronte a un passato torbido e a un futuro sempre più indecifrabile.
È bello questo continuo gioco del tempo, che ci incolla ala pagina, ma che nello stesso tempo allontana, e invita il lettore al ricordo personale, al confronto tra esperienze.
Questo libro è straordinario. Non so se ha riscosso successo, se è stato premiato, se è diventato 'cult', unico parametro di successo di questa società bacata.
So solo che è un piacere fisico leggerlo, viverlo. Ti lascia un buon sapore in bocca.
Magnifico.

venerdì 19 ottobre 2012

Morto due volte

di Marco Vichi - Guanda

Il grande Vichi si diletta con forme nuove, con stili diversi, facendoci vedere come è fatto, sebbene a carboncino, il vero viso di Bordelli. Un'emozione!
I puristi, i difensori presunti del libro tradizionale, forse storceranno il naso, gridando alla violazione della libertà di immaginazione da parte del lettore.
Io invece urlo alla genialità dell'operazione.
Un'operazione che dimostra una grande forza e una grandissima sicurezza da parte di Vichi.
La vicenda è affascinante perché coniuga il presente con il passato, perché trascina Bordelli in una sporca storia legata alla guerra, fatta di bassezze, di furti, di tombe 'doppie' e di arricchimenti facili.
Adoro gli scrittori che si addentrano in mondi diversi, che si mettono in gioco.
Vichi è straordinario.
Pochi lo sono, pochissimi.

Allmen e il diamante rosa

di Martin Suter - Sellerio

È bella questa immagine, o meglio questo personaggio dandy, decaduto, démodé, al limite talvolta del ridicolo, che per continuare a dare la sensazione di essere ancora ricco, si fa finanziare e supportare dal domestico clandestino sudamericano.
È un bel messaggio al mondo occidentale, sempre più ipocrita e decadente, alle soglie della sua fine totale. È una sorta di testimone di una staffetta tra civiltà, storie e società. Una sta finendo e l'altra sta per ricominciare da dove quell'altra è finita.
Suter scrive bene. Facile, comprensibile, scorrevole, incalzante e onestamente intrigante.
Questa è una vicenda strana, in cui si intrecciano diverse componenti: omicidi veri, gioielli dal valore incommensurabile, truffe sofisticate e finale da colpo di scena.
È bello leggere tutto questo con lo sfondo di Zurigo, dell'Europa più nascosta.
È bello seguire Allmen nei suoi deliri geografici alla ricerca indizi, indiziati e indirizzi.
Sellerio è una casa editrice straordinaria, capace di scovare autori che ci affascinano solo per il colore e il profumo degli ambienti che ricostruiscono.
Un'invidia scorre nelle mie vene, fino a farmi ribollire il sangue.

mercoledì 17 ottobre 2012

La locanda dei sogni ritrovati

di Julia Stagg - Garzanti

Il marketing editoriale ha dinamiche strane e talvolta sconosciute, oltre che incomprensibili. Non è sostanziale, ma la bambina e il gatto, tanto strillati in copertina come gli unici protagonisti del libro, di fatto sono delle sporadiche comparse ai margini della storia.
Ma a parte questo, il libro, che non è 'Anna Karenina' né la 'Divina Commedia' è una lettura godibilissima, divertente, rilassante, caparbiamente felice.
Una lettura con tutti gli ingredienti al posto giusto.
Una coppia che si adora; una paese di montagna dei Pirenei francesi; il sindaco ingordo; persone che amano altre persone; mucche; storie che intrecciano; solidarietà; amicizia; amore; e lieto fine.
Che vogliamo di più?
La mente ha bisogno, ogni tanto o ogni poco - a seconda delle proprie capacità intellettuali e della propria curiosità - di volare lontano, di liberarsi, di raccontarsi cose belle, vivere situazioni 'sognanti'.
Questo ci regala il libro. E poi ci si sente meglio. Provate.

martedì 16 ottobre 2012

Una lama di luce

di Andrea Camilleri - Sellerio

Parliamoci chiaro, ma molto anche. Noi poveri lettori, in attesa della prossima imminente prova di Montalbano, siamo anche spettatori e 'tifosi' della vita privata del nobile commissario siculo.
E nell'eterna gara, lotta, nel duello continuo e reiterato tra i sessi (Cary Grant diceva che tutto era una forma moderna di duello, la coppa Davis, il matrimonio, la boxe...) si prende posizione, o per l'uno o per l'altra.
E nella continua baruffa tra Montalbano e Lidia - da sempre quasi giunta al termine ma mai veramente - il lettore prende le parti.
E di Lidia non se ne può più!
E non ne può più neanche l'autore, non solo il commissario, perché ogni storia vede il prode Salvo alle prese con gonnelle differenti e con labbra dal diverso sapore.
Ma in quest'ultima, forse presi dal fascino della nordica, forse catturati dallo scenario del mondo dell'arte e della sua ricchissima comunità, tutto ciò si acuisce, fino all'estremo.
E sembra proprio che sia fatta, che la genovese rompiscatole, noiosa, lamentosa, mortalmente non-sexy, sia giunta al capolinea.
Sullo sfondo, sempre più lontano, il fatto, l'indagine.
Camilleri è bravissimo a tenere in vita un personaggio come Montalbano. Lo fa invecchiare, gli fa fare strani sogni premonitori, lo sta conducendo alla vecchiaia con tutte le difficoltà e le idiosincrasie delle persone in odore di anzianità.
È un personaggio sempre più affascinante, che non sappiamo dove arriverà, ma in cui molti degli uomini-lettori di quell'età si riconoscono come se fossero allo specchio.



lunedì 15 ottobre 2012

Il conto delle minne

di Giuseppina Torregrossa - Mondadori


No, non è un libro che lascia il segno. Anzi, ammorba un po' e non vedi l'ora di finirlo
La sicilianità ok; l'amore tra una nonna e una nipote passi; le ricette e l'anedottica vanno bene; ma dopo un po' il libro ti scappa di mano, ti esce dalla testa senza lasciare alcun segno.
Io mi sono annoiato a morte, cercando di non arrendermi ai luoghi comuni e agli instancabili tentativi dell'autrice di distinguersi dalla 'solita' letteratura geolocal che il nostro paese, ripetutamente, ci propina.
Sono stufo dei soliti regionalismi, delle tradizioni sbattute in faccia a chiunque con la pretesa di essere cultura.
Soprattutto di quelle che provengono da zone dell'Italia (sia al nord che al sud, intendiamoci) che non accettano che il tempo passi e che, con la scusa delle 'tradizioni' frenano sviluppo, cervelli e idee.
Il libro si riscatta solo nella parte finale, in cui almeno la protagonista - per la sua gioia - si riappropria della vita divertendosi, sessualmente parlando, senza negarsi nulla. Almeno in quella parte ci si 'diverte'.
Eccheccavolo...

Non puoi dire sul serio

di John McEnroe - Piemme

Certo non è Umberto Eco. Sicuro che non è Philip Roth. Anzi è il racconto di una vita di un disturbato. Anche se geniale con una pallina e una misera racchetta - almeno all'inizio - di legno.
McEnroe si racconta, cercando di far comprendere al lettore quanto fosse - e sicuramente è ancora - completamente fuori dagli schemi, ma purtroppo, anche di testa.
Una vita all'insegna della continua ricerca di un'autoaffermazione nel mondo, cercando di farsi accettare, cercando di superare chiunque. Grazie a un genio infinito, nel tennis, che fosse stato anche nel carattere, si sarebbe potuto assistere alle gesta del tennista più grande di tutti i tempi, passati e futuri.
Ma ahimè la testa non lo ha mai aiutato, nelle gesta sul campo e in quelle della vita di tutti i giorni. Combinando guai dentro e fuori.
Nonostante il successo, nonostante la fama, nonostante il denaro a fiumi, McEnroe è riuscito a costruirsi una vita scombinata, infarcita di fallimenti, di invidie, di tristezze.
Fino ai tempi nostri, in cui sembra aver ritrovato un po' di stabilità e serenità, tra moglie, figli, appartamenti a New York e tornei dei veterani.
Comunque, aldilà della scadente prova letteraria, rimane uno dei più grandi geni dei court tennistici di tutti i tempi. Un esempio stilistico e di inventiva che pochi sono riusciti a eguagliare.
Anche se figlio di un tennis che ormai non esiste più

domenica 14 ottobre 2012

Corte d'assise

di Georges Simenon - Adelphi

Madonna santa che angoscia! L'uomo, nei romanzo di Simenon, ha una sorta di peccato originale che prima o poi paga, o con la giustizia oppure con la follia di un momento.
Un bulletto di periferia si ritrova al centro di qualcosa più grosso di lui e, come sempre, non reagisce, subisce, compresso da un destino ineluttabile e puntuale.
Gli uomini di Simenon, o le donne, alla fine pagano sempre, spesso per qualcosa che non hanno commesso, come legge del contrappasso. Pagano per la loro colpa di vivere nel mondo, di essere abitanti marginali di questo mondo alla fine della sua corsa.
L'angoscia è totale, ripeto, ma lo stimolo, la voglia di mettersi in gioco, si rinnova ogni libro dell'autore belga che si inizia.
Sublime.

venerdì 22 giugno 2012

Zita

di Enrico Deaglio - Il Saggiatore

Ci sono libri che lasciano il segno. Ci sono libri che ti lasciano a bocca aperta. Ci sono libri che ti trasportano tra le parole come in un volo su una verde valle alpina con il vento tra i capelli. 'Zita' è uno di quelli.
E sapete il perché? Perché Deaglio ha la rara capacità letteraria di volare tra i diversi livelli di narrazione, riuscendo a integrarli, a farli parlare tra loro, fondendoli.
Non è da tutti.
Quando uno scrittore sceglie di alternare la narrazione - flashback continui, note in corsivo e vicenda contemporanea - lo fa a suo rischio e pericolo.
Probabilmente starò rincitrullendo, ma quando comincio a leggere libri con diversi piani di racconto, spesso mi perdo, mi innervosisco, e continuare la lettura diventa un vera e propria tortura.
Zita è invece un manuale eccelso di scrittura.
È la storia di una donna, un tempo giovane 'rivoluzionaria' sconfinata in qualche azione di terrorismo, che dopo anni deve affrontare la vittima del suo attentato, forse per presentare il conto o forse semplicemente per fare affari insieme.
E in questo viaggio di 'espiazione' sui generis, il racconto guarda al passato, a Cesare Pavese, a Torino teatro di lotte, fino al forzato 'esilio' a Parigi e al ritorno in Italia.
La storia di una vita, di una donna che deve confessare di 'aver vissuto' e di aver vissuto tutto.
È il primo libro di narrativa di Deaglio che leggo, quindi non so come e se ha scritto prima, cosa ha scritto prima e se scriverà ancora.
L'ho sempre conosciuto, e seguito, come giornalista, prima di barricate e poi di attento osservatore dei nostri giorni.
Questo libro è bellissimo proprio perché, nello stile, se mi posso permettere, l'autore riesce a fondere meravigliosamente la sua anima di informatore professionista a una narrazione letteraria.
Il libro ti scorre tra le dita, e manco te ne accorgi.
Ma alla fine ha lasciato molti segni sulle tue mani.

martedì 19 giugno 2012

Il materiale del killer

Starò invecchiando, starò diventando un bacchettone della peggiore risma, ma ormai i libri 'volgari', pieni di espressioni scurrili mi stanno ormai naturalmente stretti. E quindi non mi piacciono, ma proprio per nulla.
L'ispettore Ferraro sta diventando un personaggio un po' disgustoso, un po' tonto, un po' a rimorchio, un po' furbino e un po' insopportabile.
E, mi perdoni Biondillo - che ho sempre apprezzato - anche la storia sta in piedi con stampelle claudicanti e con grande fatica.
Questo intreccio tra rivoluzionari venduti al migliore offerente e carceri e malavita nostrane, risulta essere ostica al lettore - cioè io - perché non è realistica, si inceppa, è stilisticamente forzata.
E anche quello scenario sullo sfondo di Milano e delle sue contraddizioni, elemento portante di tutti i precedenti libri dell'autore nostrano, in questa fatica scompaiono visto che si è integralmente in trasferta, tra metropoli come Lodi e la capitale vera di questo disastrato paese.
È vero che il lettore seriale ama ritrovare i suoi contorni, libro dopo libro, ma è anche vero che lo scrittore seriale, se vuole esserlo, deve mantenere alcuni capisaldi senza tanti colpi di testa.
Il lettore seriale, ammettiamolo, in fondo è tradizionalista, conservatore, reazionario.
E lo scrittore seriale, se tanto vuole fare il rivoluzionario, deve saper conciliare i due opposti.
Eccheccavolo...


domenica 27 maggio 2012

Il ragazzo che leggeva Maigret

Francesco Recami - Sellerio

Visto che nessuno ci ascolta sarò diretto e schietto: Recami non è il mio autore. Recami non mi convince. Secondo libro di Recami e seconda delusione, anche se minore della prima lettura.
Il ragazzo che leggeva Maigret (La memoria)
Una storia immaginata in un posto senza nome e confini (anche se non so perché me la sono raffigurata subito in Francia) in cui un giovane adolescente, abituato a ficcare il naso dappertutto grazie alla sua passione per il libri di Simenon e del commissario dalla pipa straripante, si trova immischiato in una presunta truffa tra chiuse in stile parigino, neve alta mezzo metro e paesotto perduto nel nulla.
Una storia un po' gialla, un po' noir, un po' racconto di periferia, un po' pettegola, e un po' surreale.
I personaggi che si alternano intorno al ragazzino protagonista sono tristi, arrabbiati, all'eterna ricerca del colpo della loro vita che permetta loro di fuggire lontano, lontano, lontano...
Anch'io lo farei, visto la tristezza del luogo e la sua presunta 'inutilità' all'umanità.
Due ultime osservazioni, una negativissima e l'altra positiva.
Recami deve avere qualche 'problema' con i bambini, visto che li sequestra sempre, li vessa sempre, li abbandona sempre, li ferisce sempre, li mette in pericolo sempre. Cosa che - da padre di bambini piccoli - mi mette in agitazione all'istante e poi, devo dirlo, mi fa imbestialire. Ognuno ha le proprie debolezze.
Ma in effetti la cosa insospettisce.
La cosa positiva sono i titoli dei singoli capitoli, uniche piccole chicche che sembrano - non so quanto voluto - titoli delle famose inchieste del più famoso dei commissari letterari di tutti i tempi: Maigret.

venerdì 25 maggio 2012

La stazione termale

di Ginevra Bompiani - Sellerio

Parliamoci chiaro, questo libro è di una noia mortale. Suggerisce, riga dopo riga, al lettore ad abbandonare l'impresa molto, molto velocemente. Ma siccome non si fa, sono arrivato alla fine, esausto, provando un sollievo e una felicità, devo dire, fuori luogo.
La storia di queste donne, di queste frequentatrici di terme, ha un sapore poco decadente ma molto di estinto.
Il tema della bellezza che fugge tutta via, del tempo che passa, della nostalgia e del lento corrodersi dentro dalla malinconia - temi nobilissimi, affascinanti e patrimonio di tutti quelli che hanno un minimo di sensibilità - in questa fatica della signora membra di cotanta famiglia, non si traducono in un provato e struggente mal di vivere, ma cadono solo in un ripetersi di situazioni, di dialoghi e di situazioni fini a se stesse.
Raramente ho provato una voglia di fuggire da pagine di libro come questa volta.
Forse  - qualcuno lo può pensare - per apprezzare questo libro bisogna essere donna, per capire le pieghe, per affondare gli occhi in consuetudini e dinamiche estranee al maschio sciovinista.
Ma allora ditelo, e io ci giro alla larga!
Che barba!

venerdì 4 maggio 2012

Galeotto fu il collier

di Andrea Vitali - Garzanti

Vitali è meglio dello sciroppo della tosse, dell'aspirina con il mal di testa, dell'antidepressivo dopo una delusione d'amore. Vitali è una certezza per volare via con testa e corpo in un mondo che non c'è più e scappare dall'oggi sempre più improponibile.
Questa volta la Bellano degli anni Trenta ci mostra un intreccio di famiglie e denari che ha a dir poco del miracoloso.
Possiamo fare un gioco, tutti insieme.
Prendiamo madri ossessive, giovani che scalpitano, monete d'oro dai medievali ricordi, piccoli poteri locali, il Ventennio sempre più anacronistico e ripiegato sulle sue pochezze umane, e giovani nipoti orrende da piazzare.
Mettiamo tutto in un frullatore, a motore letterario.
Accendiamo e... via.
Il problema che ci vuole un Vitali che sappia mettere insieme la storia, assemblarla con uno stile e un linguaggio adatto, scriverla e poi pubblicarla.
Le storie di Vitali, leggendole, sembrano 'facili'. Scorrono rapide e senza freni come le acque del fiume Pioverna nel famoso Orrido che attira tanti turisti nella cittadina del lago.
Sembra facile, ma non lo è.
Vitali ha questa capacità di trascinarti nella storia, fartela vivere, farti vedere le vie, l'acqua, le bellezze e le bruttezze degli abitanti, come pochi sanno fare.
E pazienza se poi, come qualcuno dice, le storie alla fine sembrano tutte uguali.
È la sua forza. È la vita che in fondo è tutta uguale e che si ripete fino alla noia.
E Vitali ce la rende meno noiosa.
Una unica osservazione. Questo libro ha una marea di cosiddette 'parolacce'. Non so se sono io che durante la lettura ho 'avvertito' di più la loro presenza, se è sempre così, o che altro.
A volte cascano meravigliosamente nel testo, dando quel tocco in più geniale e dai tempi perfetti. A volte secondo me sono superflue.
Senza fare il moralista, intendiamoci...

lunedì 23 aprile 2012

La giornata del libro

È come la giornata della mamma, della terra, del clima, dell'ambiente, del chissà che diavolo d'altro.
Il mondo ha bisogno oggi di dare un nome laico a ogni giornata, mentre la chiesa, da millenni, ha monopolizzato il calendario con i nomi dei suoi presunti eroi.
Il problema vero, e sono volutamente demagogico e scontato anche se velenoso, è che in un paese in cui si legge sempre meno e sempre più male, la giornata mondiale del libro porta sì un po' di attenzione al tema, riempie per qualche ora qualche libreria in più, ma di fatto non risolve niente.
Meglio qualcosa che nulla? Sono d'accordo.
Ma credo che il problema sia da una parte culturale, e dall'altra, come si diceva nei bei tempi andati, politico.
La scuola deve fare la sua parte.
Alla scuola di mio figlio, otto anni, siamo riusciti - dopo mesi di insistenza - ad avviare un servizio di biblioteca nelle classi che permette ai bambini di attingere a una serie di libri, scelti in collaborazione con le maestre, loro indicati e sicuramente utili alla loro crescita.
Quindi la scuola ha un ruolo centrale nella formazione alla lettura delle giovani generazioni.
Ma è chiaro anche il ruolo fondamentale delle famiglie, dei genitori, che devono sollecitare, interessare, promuovere, indicare e avviare i bambini alla lettura. La lettura deve essere un gioco, deve essere accompagnata da mamma e papà, in modo da renderla interessante, avventurosa, spericolata, insidiosa e trascinante.
Il problema sono gli adulti. Generazioni e generazioni di cervelli obnubilati da Rete4 e da Grandi Fratelli, da mamme e papà alla ricerca edonistica della propria bellezza e gioventù andate, da visite costanti e reiterate allo stadio, non aiutano certamente i fatturati delle case editrici.
Come fare a portare la 'gente' tra le pagine dei libri? Come fare a rendere così affascinanti le avventure lette da spegnere l'odiata Tv, almeno un po'?
La battaglia è persa, forse, ma qualcosa si potrebbe fare.
La comunicazione in questo senso è un'arma formidabile. Comunicare in modo serio, intelligente e di profilo la lettura è fondamentale.
Così come la promozione commerciale. Sconti, programmi, giornate, tutto va bene.
E poi, fondamentale, un'azione legislativa che sostenga il settore, che non stronchi le voci fuori dal coro e che aiuti tutti a leggere sempre di più, meglio e nel tempo.
Sogni, solo sogni.
Io so solo che sempre più spesso, entro nelle case di amici e conoscenti, e non vedo librerie, non vedo libri, non ne sento parlare...
Comunque la pensiate: viva i libri!


mercoledì 18 aprile 2012

Le Tigri di Mompracem

di Emilio Salgari - Einaudi

Ho ricomprato questo libro con l'obbiettivo, chiaro e determinato, di leggerlo con mio figlio di otto anni. Insieme. Dopo 45anni. E ho fatto un errore, duplice.
Primo perché il linguaggio è troppo arcaico per un bambino di oggi. Leggere con lui e dover 'tradurre' quasi ogni riga in modo che la comprenda è una sfida impossibile, oltre a farmi venire la raucedine. 
Secondo perché il libro è veramente noioso.
O meglio Sandokan, la Tigre della Malesia, l'eroe di intere generazioni, la furia dei mari che lotta contro gli inglesi invasori, è sì un grande condottiero (forse), un fiero combattente (forse), ma almeno in questo libro - il primo della serie malese - è anche un bamboccio (sicuro) che ha perso la testa per una ragazzina, per di più inglese, che quindi tanto bella non può essere. Tra l'altro poco più che maggiorenne.
Insomma un eroe travolto più che dalla furia dei mari e dagli uragani, dalla sua tempesta ormonale post-adolescenziale. È un continuo lamento, noioso, fastidioso e decisamente poco eroico, il suo.
Una delusione, dopo oltre quarant'anni, da cui non mi rimetterò mai più.
Penso che smetterò di leggere... Mi butto sul body-building.

venerdì 13 aprile 2012

Al momento della scomparsa la ragazza indossava

di Colin Dexter - Sellerio


Volete finalmente cadere su un’indagine poliziesca come si deve, con gli indizi, i sospettati, il poliziotto imbranato, il suo capo che lo tratta male, l’ambiente che rema contro?
Bene prendete questo libro. Poi mi dite.
È il secondo della serie anni ’70 di Colin Dexter, che Sellerio sta pubblicando (è appena uscito il terzo).
Nell’Inghilterra perbenista e bacchettona, di provincia, il commissario Morse (proprio come l’alfabeto) si aggira per le strade dell’area intorno a Oxford alle prese con la scomparsa di una ragazza liceale.
E sapete il bello di questo personaggio dalle capacità improbabili qual è?
È la sua incapacità a concentrarsi, a non volare via con la mente, a trattenersi dal bere troppa birra, che lo portano direttamente a prendere cantonate continue e reiterate, fino alla soluzione finale, tra l’altro sospesa. Un uomo che probabilmente nella vita reale perderebbe il posto o verrebbe inviato a dirigere il traffico. Ma ha il suo fascino, un po' melanconico.
È un libro piacevole, di ampio svago, letto stancamente durante le vacanze pasquali tra una pioggia e l’altra. Una buona compagnia.
Ne ha scritti tredici.

martedì 10 aprile 2012

Hanno tutti ragione

di Paolo Sorrentino - Feltrinelli

Parte bene questo libro. E si spegne, violentemente, quasi subito.
Fino a disgustare.
Non mi piace, non mi piace e non mi piace.
Nient'altro.

La forza del destino

di Marco Vichi - Guanda


Questo libro è bellissimo, onirico, straordinariamente appassionante. Provare per credere.
Vi dovete rassegnare. Ormai la letteratura gialla è scrittura di pregio, spesso altissima, esclusiva.
E gli snob, poverini, si fottano!
L’ultima impresa dell’ormai ex- commissario Bordelli, nella Firenze anni ’60, è la perfetta sintesi tra un passato ingombrante, la nuova vita ‘contadina’ del commissario fuggito dalla polizia, e la giustizia, quella vera.
Per poterlo leggere, questo libro, è necessario o aver letto quello precedente - tutto nasce da lì - oppure dotarsi di un un buon riassunto che tracci i contorni della storia, orribile, che era da portante narrativa.
Un’orribile storia di violenza su un bambino, a opera di quattro ignobili essere dalle diverse posizioni sociali.
In questo ultimo libro Bordelli, stomacato da quanto successo in passato, si è dimesso, deciso a farla finita con le sofferenze e gli orrori di un mondo sempre più violento, orribile e  inaccettabile. Si ritira in un casolare in campagna, da dove, però, ha l’occasione della sua vita per fare giustizia, almeno la sua.
Il libro ha un’aria melanconica, rinuncia al giallo puro tradizionale e affronta una serie di storie in contemporanea che trascinano l’ex-commissario, forse controvoglia, nel mondo che ha appena abbandonato.
È bellissima la figura di questo uomo, disilluso e arrabbiato, che si ritrova ad affrontare una crisi violenta, sia professionale sia personale, che lo porta a scelte estreme, al limite, oltre il limite.
Ed è bellissimo lo scenario, selvaggio e composito, in cui l’uomo si aggira, tutti i giorni, come un segugio, alla ricerca di verità e di sentenze.
Gli anni ’60, affascinanti anche nei suoi falsi miti, fanno da contorno. 
Adoro Vichi, anche se sono sposato con figli.

La fuga del signor Monde

di Georges Simenon - Adelphi


Dedicato a chi è riuscito a scappare. Dedicato a chi riesce a fuggire. Dedicato a chi, almeno per un po’, è riuscito a scomparire.
Il signor Monde, la mattina del suo compleanno, mentre il suo autista lo sta portando al lavoro, come ogni giorno, decide di scomparire, lasciando moglie e figli, azienda, passato e la sua vita di tutti i giorni. Si rade, si cambia, prende il primo treno verso la costa azzurra e corre a vedere il mare.
Poi incontra una donna, trova un lavoro, vive un’esistenza agli antipodi della sua storia. Fino a incontrare la sua ex moglie che gli sconvolgerà di nuovo la vita fino alla soluzione finale, forse inattesa.
Simenon affronta uno dei suoi temi più cari. La ribellione del borghese, forse piccolo piccolo, che un giorno si ritrova a cercare una nuova via, una nuova vita.
L’ipocrisia di tutti i giorni, i finti affetti, le consuetudine sociale: cancellate con un colpo di spugna per ritrovarsi a vivere, forse per la prima volta, la ‘propria’ vita, e non quella che gli altri ci hanno imposto.
E allora Nizza, la ragazza del casinò, il gioco d’azzardo...
Simenon ha la capacità di sbatterci in faccia quello che tutti intimamente pensiamo, che tutti ci domandiamo: siamo felici?
Sempre più sublime, l’autore belga. 
La mia speranza è che la pubblicazione di tutti i romanzi, che Adelphi ha intrapreso, non finisca mai.

La carta più alta

di Marco Malvaldi - Sellerio


La maldicenza, il pettegolezzo sono ‘malattie’ umane, che si manifestano all’ennesima potenza in un piccolo paese di provincia. Aggiungici quattro anziani che non hanno nulla da fare tutto il giorno, un bar gestito dal nipote e la frittata è fatta.
E il caos è servito.
Un omicidio del passato, un affare poco pulito, la rincorsa di eredi al patrimonio, sono gli elementi fondamentali di questo intricato giallo di provincia in cui il solito Massimo, barista di professione, viene trascinato dalle lingue lunghe dei vecchietti al tavolo sotto l’olmo, e dalla loro voglia di rompere la noia quotidiana.
Lo scenario è sempre lo stesso, i personaggi uguali a se stessi, la forza e le piccolezze del piccolo centro toscano le consuete. 
Eppure, ogni volta Malvaldi ha la capacità di nascondere l’eventuale ritualità e la pericolosa noia del lettore attraverso uno stile veloce, determinato e soprattutto ‘moderno’.
Una modernità che vuol dire sapere dare al lettore quello che vuole, accelerare dove serve, fermarsi a pensare quando è necessario.
Questo è saper scrivere.
E Malvaldi lo sa fare.

Fedeli a San Siro

di Claudio Sanfilippo e Tiziano Marelli - Mondadori


Allora...io non sopporto il calcio, non capisco questo rito tribale settimanale che sembra far emergere il peggio del peggio della decadenza umana, non comprendo come padri di famiglia attempati possano rendersi sgradevoli e volgari, o peggio ancora tristi all’inverosimile, di fronte a 22 trogloditi miliardari che tra l’altro, sempre più spesso, comprano e si vendono le partite. Ma tant’è.
Questo libro l’ho comprato, assaporato e digerito soprattutto perché uno dei due autori è un caro amico del passato, con cui ho condiviso scuola e passione politica ormai qualche epoca jurassica fa.
Ma l’ho fatto mio perché parla sì di calcio - e dell’eterna lotta tra le due squadre milanesi, degli sberleffi, degli insulti tra tifoserie, della rivalità fino all’inverosimile -, ma soprattutto perché racconta un’amicizia e la racconta dando ampi sguardi al passato, a quell’epoca ricca di forti passioni politiche e, maledizione!, a quegli anni in cui eravamo giovani.
Fedeli a San Siro è un inno all’amore vero, per me un po’ malsano, verso la propria squadra e verso questo sport  - ormai soporifero e mortale! - che è il calcio. Ma il libro è anche un grido di nostalgia.
Nelle sue pagine si legge di partite vere, di pasticcerie, di bar dell’angolo, di amicizie vere, di forti passioni, di partitelle nei campetti periferici, di zii e nonni, nonché di corse sfrenate in mezzo al campo di San Siro con calzoni rossi al seguito. 
Il libro ci racconta una Milano ormai morta e sepolta, un calcio che non c’è più e una correttezza - fatta anche di calcioni negli stinchi! -  che oggi ce la sogniamo. 
Quando gli autori si accorgeranno che il calcio non esiste più, forse si risveglieranno da un incubo. 
O forse no.
Forse lo sanno già, ma l’amore, quello vero, si sa, ha gli occhi bendati. Proprio come la fortuna.
Sarà un caso?

Zia Antonia sapeva di menta

di Andrea Vitali - Garzanti


Prima o poi, tutti facciamo quella fine lì, invecchiamo. Non c’è speranza. Anche se ormai molti a 60anni si vestono come mio figlio che ne ha 8... e a 70 come mio nipote che ne ha 20. Si inganna solo se stessi.
Vitali questa volta sceglie una casa di cura per anziani - di stretto ordine religioso - come scenario principale per un tentato raggiro, questioni ereditarie, affetti sinceri e filiali bancarie.
Questa prova dell’autore lacustre è più lieve di molte altre. Nonostante l’intrigo, la famelica voglia di accaparrarsi la ‘roba’ e i soldi, nonostante le bassezze di gente piccola, Vitali riesce a raccontare il tutto con la sua insolita leggerezza.
Ci trasporta in un intricata storia dove gli affetti, quelli veri, una volta tanto, hanno la meglio, contro l'ignoranza, l'egoismo e la cattiveria.
Il lago è sempre nello sfondo, grigio e torbido nei giorni di pioggia, blu e invitante nelle giornate di bel tempo. E le vie di Bellano, intricate e misteriose, riescono ancora oggi, dopo non so quanti libri, a condurci verso una lettura piacevole e soave, strappandoci sorrisi e suoni di approvazione.
Forse, lo dico spesso, Vitali scrive troppo. Dovrebbe centellinare un po’ di più i suoi racconti. Ma è anche vero che dopo un po’ ci si chiede: ‘Ma Vitali non scrive più?’, mostrando seri segni di crisi d’astinenza...

domenica 8 aprile 2012

Il mercante dei libri maledetti

di Marcello Simoni - Nuova Narrativa Newton


Non voglio fare lo spocchioso ma lo faccio, eh per dio. Ma come si fa a scrivere simili libri e anche a pubblicarli?
Adoro la letteratura ambientata nel medioevo, il periodo storico più affascinante e colorato della storia, nonostante quello che molti ci raccontano.
Adoro la letteratura gialla, gli intrighi, le indagini, i personaggi che popolano questi libri, gli scenari che circondano la storia.
Ma adoro ancora di più la letteratura gialla lanciata a corpo morto nel mondo medievale. È la quadratura del cerchio letterario.
Questa storia non sta in piedi, è noiosa, finta intrigante, scritta male e pure monca.
L’autore ci porta all’interno di un’antica diatriba fatta di potere e libri che, presumibilmente, dovrebbero distribuire a piene mani la capacità forze e conoscenze assolute. 
Fin dall’inizio si respira aria di insulso intrigo, di una storia che non sta in piedi e che cerca di essere misteriosa.
Mi arrabbio, terribilmente, dio fronte a questi libri, prodotti di marketing, strillati ai sette venti e che svaniscono al sole come neve primaverile.
Bisognerebbe promuovere una legge che preveda il rimborso quando si incrociano simili sconcezze. 

L'assassino

di Georges Simenon - Adelphi


Gli schiaffi che riesce a dare Simenon con ogni libro che ci manda in terra mette a dura prova anche il campione di pesi massimi di boxe.
Questa volta ci rifila senza mezzi termini una storia di perbenismo e di retriva borghesia che sfocia nel più atroce dei delitti a sfondo familiare.
È uno degli uomini più in vista del villaggio - questa volta in Olanda - che a seguito di una lettera anonima viene a conoscenza dei continui tradimenti della moglie ogni volta che per lavoro si assenta da casa.
E sulla base di questa lettera anonima, acquista una pistola durante il suo viaggio periodico, torna prima del previsto, coglie in fragrante la moglie con l’amante, li ammazza tutti e due e comincia quindi una storia di vedovanza fatta di ulteriori falsità, di recita sociale, di sconvenienze sociali fino alla conclusione, dovuta e obbligatoria.
Forse i romanzi di Simenon sono tutti ‘uguali’.
Forse rincorrono tutti un mondo perbenista che un giorno decide di sfondare la barricata e ribellarsi grazie a abbandoni, omicidi, fughe...
Ma ogni volta coglie l’obbiettivo di sbatterti in faccia la mediocrità della vita di tutti i giorni fino a mescolarti le budella fino a ritorcerle.
Ogni volta che finisci i suoi libri sei come entrato in un frullatore.

Allmen e le libellule

di Martin Suter - Sellerio


Io, della Svizzera, non ho proprio alcuna attrazione. Non mi affascina per nulla. Mi piace molto il cioccolato, la puntualità, il rispetto delle regole. Ma la Svizzera non è tra i luoghi preferiti. 
Ma Martin Suter mi piace, mi intriga, mi trascina.
Ha la capacità di risucchiarti violentemente nelle sue storie. Difficilmente ci si distrae, leggendo Suter.
Dopo la narrativa classica dei libri che me lo hanno fatto conoscere, con questa opera Suter, a quanto sembra, sbarca nella letteratura gialla con un personaggio protagonista che non ha proprio l’aria dell’investigatore tradizionale o del commissario di polizia.
Ci troviamo di fronte a un ricco decaduto amante dell’arte e dei suoi traffici, che tra una truffa e l’altra per poter campare, si imbatte in un omicidio e, per forza, ne indaga le cause risolvendo alla fine il caso.
Come spesso capita, i libri gialli, soprattutto per quelli di autori stranieri, sono un pretesto per buttare l’occhio nei mondi che circondano la storia.
La Svizzera tedesca, con i suoi misteri, con le sue miserie intellettuali, con i suoi soldi debordanti e tiranni, emerge in tutta la sua squallida convivenza.
È la fotografia, impietosa, di una società opulenta che ormai sente sempre di più odore di decadenza, di crollo, di fine.
Allmen, il protagonista, in collaborazione con Carlos, il suo collaboratore domestico clandestino, si dimena, cerca di mantenere il suo staus sociale, annusa omicidi, risolve il caso...ma alla fine gli resta un amaro in bocca difficile da mandare giù. Anche con il cioccolato più raffinato.
Sembra sia l’inizio di una serie.

La pentola dell'oro

di James Stephens - Adelphi


Ormai di libri ne ho letti molti, non sono più un ragazzino, ahimè.
Ma questo li batte tutti per stramberia, fantasia, follia narrativa e per una storia che non ha né capo né coda.
Un libro fantastico, che ci porta per mano nel mondo fantastico dei folletti irlandesi, dei boschi fatati, sotto la guida di un cosiddetto filosofo che oltre ad ammorbare tutto e tutti con i suoi interventi verbosi, con le sue discussioni storico/filosofico/sociali, parte un giorno alla ricerca di un dio per cercare di convincerlo a liberare una fanciulla.
La storia è folle di per sé.
Ma è il continuo uscire e entrare nella trama, la costante eccentricità di quello che succede, gli incontri al limite non tanto del realismo ma dell’ospedale psichiatrico, che rende questo viaggio della fantasia straordinario, unico e sicuramente insolito.
Si fa fatica a leggerlo. Si fa fatica a finirlo. Bisogna avere la mente pronta, e soprattutto, leggerlo velocemente.
Il rischio è perdersi in qualche bosco della verde Irlanda alla ricerca, perché no?, anche noi, di qualche dio nascosto e protetto da qualche folletto dall’aspetto simpatico, sperando di raccogliere la pentola dell’oro nascosta sotto quell’albero.

L'uomo inquieto

di Henning Mankell - Marsilio


Come spesso accade, gli autori di serial gialli, a un certo punto, probabilmente perché non ne possono più, ‘uccidono’ il loro eroe protagonista. Incuranti del successo che gli ha fatto raggiungere, dei danari guadagnati, della sua inscindibile dedizione.
L’unico che ha resistito - almeno dei grandi -, credo, sia Simenon con il suo Maigret, sopravvissuto al suo creatore.
Anche Mankell non è diverso.
E così, dopo oltre dieci tomi che hanno raccontato delitti, solitudini, tristezze, amicizie, amori, viaggi, pranzi e cene, oltre che scenari, ambienti e spicciola sociologia, l’autore ha deciso di terminare il suo protagonista, il commissario 
Wallander, triste e solo servitore della patria scandinava.
Per anni il commissario ha indagato, combattuto e sconfitto ogni genere di crimini venuti dal freddo, ha affrontato ogni tipo di sfide, ha fatto il fine psicologo, ha agito come tutti i poliziotti che si rispettano.
Questa ultima indagine è solo un pretesto.
Non me la ricordo neanche. È solo da sfondo al decadimento fisico e psichico del nostro eroe che, segnale dopo segnale, approda alla malattia finale, che lo porta alla morte.
Wallander è stato un grandissimo della letteratura cosiddetta poliziesca. Soprattutto perché più di tutti ci ha fatto conoscere la società svedese, la sua decadenza, il suo abbandono del modello sociale più straordinario al mondo.
Ci mancherà. 
Mankell avrà avuto le sue ragioni. Di certo non ha ascoltato le nostre.

sabato 7 aprile 2012

La casa di ringhiera

di Francesco Recami - Sellerio


Questo libro non mi piace, mi irrita, mi disgusta.
Non so se lo stesso è per l’autore, che naturalmente non conosco e di cui ho acquistato altri libri, che spero mi riconcilino con la sua scrittura.
Questo è un libro che ha voglia di sensazionalismo, di provocare senza trasgredire. Vuole solo colpire allo stomaco, senza dare una via di uscita al lettore.
Vuole solo provocare.
E a me le provocazioni, senza fine, non mi piacciono.
Uno scrittore deve dare vie d’uscita, deve lasciare qualche porta aperta. Al contrario, così la penso, è inutile che scriva. Può fare il killer, può vendere droga, può fare la fine di Michael Douglas in ‘Un giorno di ordinaria follia’.
Sono stufo di dover far fronte a una vena di insano pessimismo che trascina tutto: sentimenti, amicizie, affetti, voglia di convivere. Ma soprattutto voglia di migliorare questo schifoso mondo.
Forse non ho capito nulla, intendiamoci.
E poi i bambini, maledizione, devono essere lasciati stare, non diventare oggetto di delle peggio nefandezze e ossessioni.
La vita è così?, mi dite...
Non tutta, solo quella dei paranoici. 
E non è obbligatorio raccontarla, proprio no.
 
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