martedì 10 giugno 2014

La famiglia Karnowsky

di Israel Singer - Adelphi

C'è un senso di perenne sconfitta, in questa formidabile saga familiare del fratello meno noto di Isaac Singer. Ma anche di arrendevole speranza.
Libro straordinario, di un'altra epoca - narrativamente parlando - che ci mostra la storia di una famiglia dall'inizio del novecento fino alla guerra, raccontandoci tre generazioni, una in fila all'altra.
I tre protagonisti sono alla ricerca continuata di essere qualcosa che non sono, alla costante scoperta di diventare qualcun'altro.
Dapprima l'immigrato dell'est Europa, fedele all'impero, che vuole essere più tedesco dei tedeschi stessi di Berlino, una volta trasferitosi là.
Poi il figlio scapestrato che combatte contro le rigidità teologico-culturale del padre che cerca una strada trasandata fino al momento che rientra nei canoni sociali e di mercato.
Poi il nipote, ancora più in lotta con la famiglia e il padre, che si lascia abbandonare alle peggiori tentazioni delittuose per potersi fare accettare da un paese che l'ha cacciato, dopo averlo umiliato, in quanto ebreo.
Il tutto tenuto insieme, nel vero senso della parola, dalla cultura ebraica e soprattutto dalla religione ebraica, che tutto vuole regolare e tutto vuole decidere.
Il libro è un viaggio affascinante nel mondo ebraico, nella sua comunità, nei suoi rapporti, sia sociali sia famigliari, nei modi di dire e fare, nel suo lessico, nelle sue abitudini.
Infatti alla fine compare anche un utilissimo, e fondamentale, glossario delle parole yiddish usate, frequentemente!, nel libro.
La fine è eloquente di un modo di pensare e di vivere, oltre a essere naturale per chi si arrenda di fronte a qualcosa più grande e forte.
Siccome non si è più abituati, vi rivelo un particolare straordinario del libro: è scritto benissimo, è appassionante, è dolce, è melanconico, è triste, è gioioso. È un bel leggere.
Cinquecento pagine di vera e propria gioia per le sinapsi celebrali che sconfiggono i peggiori detrattori del non leggere.
Andate e leggetene tutti, ne va la pena
 
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