venerdì 26 giugno 2015

Momenti di trascurabile infelicità

di Francesco Piccolo - Einaudi

Quando leggi un libro che ti rimane sullo stomaco come il precedente di questo, come se fosse una delle leggi di Murphy, infili in modo inconsapevole e e masochistico, una serie di letture che ti lasciano sempre di più l'amaro in bocca.
E questo libro conferma la legge. Libro insulso, un po' inutile, un po' infingardo, il seguito naturale del primo della serie che ci raccontava il lato nobile della medaglia: la felicità (che non ho letto e me ne guardo bene dal leggerlo).
Intendiamoci, io libri di questo genere non ne compro, e in genere giro alla larga da loro come se avessero conseguenze letali per la mia salute fisica e mentale. Ma è arrivato in casa, per vie traverse, sotto forma di regalo aziendale a mia moglie.
Bene, la curiosità è stata troppa, e mi sono lasciato convincere viste anche le esigue dimensioni dell'edizione.
Ho pensato. "Non è un libro che avrei mai acquistato, neanche in versione ebook, ma visto che è così piccolo di dimensione e con un numero di pagine limitato, non potrà farmi troppo male, giusto?"
"Giusto!", mi sono risposto e ho avuto torto.
Noioso come pochi, il libro si compone di piccole annotazioni su cosa veramente rende infelice una persona, alternate invece con storie più o meno lunghe in cui si spacca il capello dell'infelicità, o presunta tale.
La controcopertina ci presenta questa fatica dell'autore italiano come ricca di sottile ironia e velata comicità. Niente di più falso, ogni riga è terribilmente insulsa, ricca di banalità ai confini della ripetitività e il lettore, almeno io, gira le pagine sempre più irritato domandandosi perché sta sprecando il proprio tempo invece di dedicarsi a letture più abili, più affascinanti, più intriganti e più sognanti.
Ma la colpa non è di Piccolo. Lui fa il suo mestiere e visto il successo delle vendite di questa coppia di pamphlet ha ragione io. Sono io il cretino che mi faccio sedurre da vie letterarie che so già non sono le mie.
Mi butto su Proust, Dostoevskij, Dante e su Il Capitale da oggi...e così la facciamo finita.

giovedì 18 giugno 2015

Una spola di filo blu

Anne Tyler - Guanda

Io adoro le storie di famiglie, che ci fanno calare tra quelle pareti domestiche che talvolta sono delle vere e proprie sbarre. Adoro le storie dove i rapporti familiari, dove gli amori tra madri e figli, dove i padri perdono tutto, dove le figlie e i figli si combattono per conquistare un po' di spazio al sole nell'affetto dei genitori.
Io adoro Anne Tyler, professionista del racconto intimo e del piccolo mondo domestico.
Ma questo libro è pizzoso, noioso, lungo come la fame e non porta da nessuna parte.
Intendiamoci, il libro è come sempre scritto meravigliosamente, ma le vicende di questa famiglia, intrecciate con la manutenzione edilizia, sono stantie e pericolosamente ammorbanti.
E poi dopo i due terzi del libro, e forse più, improvvisamente si fa una salto nel tempo coinvolgendo vicende e personaggi dei quali si può fare volentieri a meno.
Difenderò Anne Tyler fino alla tortura, ma non di certo questa opera loffia e un po' infingarda.
C'ho proprio poco da dire di più, e mi dispiace molto.
È un'occasione perduta per parlare dell'ennesima straordinaria fatica dell'autrice.


mercoledì 3 giugno 2015

Gli scaduti

di Lidia Ravera - Bompiani

L'altro giorno ho rivisto, in tv, un'intervista molto 'casalinga' di Lidia Ravera, che mostrava la sua casa a Roma, parlando di scelte d'arredamento, opzioni di lettura e di se stessa. Tra un'infinità di foto, da quando era più giovane a oggi. Sempre straordinaria.
In questa 'chiacchiera' informale - tra un ambiente e l'altro della casa, Lidia Ravera osservava che il proprio stile di scrittura e l'evoluzione narrativa delle sue opere - partendo dal lontanissimo in tutti i sensi 'Porci con le ali' - ha raggiunto una maturità e una ricercatezza molto alte.

Ecco, questo libro, per sintetizzare, ha due fronti da analizzare.
Il primo è proprio quello dello stile.
La complessità delle frasi, la ricerca assoluta delle parole, la voglia di stupire il lettore senza perdere per strada la storia e la sua comprensione narrativa, rende questo libro formidabile e appagante. Io mi sono perso nelle pagine, talvolta solo nel gioco della lettura delle parole stesse, dimenticandomi di seguire il filo della storia che si stava sviluppando. Credo che questo sia il primo libro in vita mia che l'ho letto due volte, in contemporanea. La prima per seguire questa drammatica storia. La seconda solo per assaporare come è scritto, per ascoltare il suo ritmo, per fare mia la musica che tracimava dalla righe.

Poi c'è la storia, tanto drammatica, tanto angosciosa, tanto maledettamente attuale, tanto 'personale'. Per la società raccontata nel libro, io sarei a circa due anni e mezzo dal ritiro, a seguito dell'artificiale esclusione dalla comunità produttiva.
Se dicessi che questa lettura non mi abbia sconvolto, racconterei una bugia.
È uno schiaffo un po' goliardico nella sua denuncia, ma sonoro e molto, molto doloroso.
Il tema della rottamazione che tanto ci appassiona oggi, nel libro diventa strategia politica e sociale, fino a delineare con grande cura l'anno in cui uno debba sparire, ritirarsi, per lasciare spazio ai giovani sempre più frementi e sempre più impreparati.
Il leader Maximo, fautore con la sua cricca della nuova società e della nuova ideologia, guarda caso indossa camicie bianche, è giovane e scattante, memorizza tutto alla velocità della luce nonostante non abbia una gran cultura, ha occupato tutto, e soprattutto, a differenza del popolo bue, si è garantito una sorte di immortalità che gli consenta di scavalcare impunemente i limiti di età imposti agli altri.
La storia è una denuncia politica, anagrafica, e culturale. Oltre a essere una bellissima fiaba d'amore di un uomo e di una donna che non sopportano di stare lontani tra loro.
E che uniti si oppongono alla status quo, gettando un seme per una rivolta che nel sottofondo del libro sembra prendere piede.
La Ravera qui si è superata.
La mia mente e i miei occhi ringraziano del bellissimo libro.
 
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