lunedì 24 marzo 2014

Le signorine di Concarneau

di Georges Simenon - Adelphi

Siamo in Francia, in Bretagna, vicino a Quimper, negli anni '30. Ma potremmo essere tranquillamente in una qualsiasi provincia italiana di qualsiasi regione.
Quante sorelle hanno sostituito il ruolo di madre nel confronto dei propri fratelli minori, rinunciando di fatto a crearsi una famiglia propria, oppure, molto più facilmente, nascondendosi dietro questo presunto obbligo.
Io ne conosco molte tra parenti e amici dei miei. Famiglie figlie della propria epoca, in cui se non ci si sposava si stava insieme per forza, tra genitori e figlie spesso solo tra fratelli e sorelle.
E ognuno ripeteva il ruolo che era stato abbandonato.
Quindi la sorella maggiore faceva da madre, e spesso da padre, le altre succubi non si sposavano mai se non per un colpo di fortuna, e i fratelli, spesso unici, si ritagliavano un ruolo di eterni bambocci accuditi fino a sotto le lenzuola, per poi ribellarsi nell'unica forma possibile del tempo: andare a puttane!
Il libro è la consueta avventura di provincia in cui l'uomo ricopre il ruolo di colpevole di un qualsiasi crimine e o qualsiasi colpa, gettando a catafascio tutto il suo perbenismo e la sua ipocrisia sociale in modo inconsapevole e inutile.
Si sa, i protagonisti di Simenon sono in genere uomini deboli e un po' inutili, che un giorno perdono la testa e credono di riscattarsi con un gesto ignobile.
Qui è l'investimento, più o meno consapevole, di un bambino, di famiglia povera, ai margini di tutto e tutti.
Un uomo inutile, circondato dalle sorelle invadenti e uniche a sostenere il peso della famiglia, alla ricerca di un riscatto sociale e personale.
Libri tristi quelli di Simenon, quasi uguali a loro stessi, sempre monocordi.
Sempre affascinanti e incalzanti, fino a fare male.

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