domenica 8 aprile 2012

L'uomo inquieto

di Henning Mankell - Marsilio


Come spesso accade, gli autori di serial gialli, a un certo punto, probabilmente perché non ne possono più, ‘uccidono’ il loro eroe protagonista. Incuranti del successo che gli ha fatto raggiungere, dei danari guadagnati, della sua inscindibile dedizione.
L’unico che ha resistito - almeno dei grandi -, credo, sia Simenon con il suo Maigret, sopravvissuto al suo creatore.
Anche Mankell non è diverso.
E così, dopo oltre dieci tomi che hanno raccontato delitti, solitudini, tristezze, amicizie, amori, viaggi, pranzi e cene, oltre che scenari, ambienti e spicciola sociologia, l’autore ha deciso di terminare il suo protagonista, il commissario 
Wallander, triste e solo servitore della patria scandinava.
Per anni il commissario ha indagato, combattuto e sconfitto ogni genere di crimini venuti dal freddo, ha affrontato ogni tipo di sfide, ha fatto il fine psicologo, ha agito come tutti i poliziotti che si rispettano.
Questa ultima indagine è solo un pretesto.
Non me la ricordo neanche. È solo da sfondo al decadimento fisico e psichico del nostro eroe che, segnale dopo segnale, approda alla malattia finale, che lo porta alla morte.
Wallander è stato un grandissimo della letteratura cosiddetta poliziesca. Soprattutto perché più di tutti ci ha fatto conoscere la società svedese, la sua decadenza, il suo abbandono del modello sociale più straordinario al mondo.
Ci mancherà. 
Mankell avrà avuto le sue ragioni. Di certo non ha ascoltato le nostre.

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